La creatività nell’infanzia: talento e passione

 A cura del Prof. Emilio Esposito/Teologo docente /Formatore professionista A.I.F. (Area delle professioni sociali ) – Counselor Sistemico Relazionale- Esperto nei processi formativi per il Terzo settore, in  Biodiscipline –  Logoterapia / Naturopata / Maestro Shiatsu.

Ognuno ha in sé un Leonardo da Vinci. Solo che non lo sa, perché i suoi genitori non lo sapevano e non l’hanno trattato da Leonardo.”(DANIEL GOLEMAN, Lo spirito creativo, BUR, 2001)

Il talento è l’attitudine innata a realizzare grandi cose in un particolare campo. Diversi studi citati da Daniel Goleman nel suo libro “Lo spirito creativo” dimostrano che tutti gli esseri umani sono contraddistinti dal talento in un determinato ambito. Il problema è che non sempre il talento ha la possibilità di emergere e talvolta non viene coltivato.

Infatti, ogni attitudine umana ,per produrre risultati significativi, ha la necessità di essere riconosciuta, alimentata, raffinata e socializzata.

In caso contrario, benché innata, languirà e rimarrà latente e silenziosa, magari esprimendosi nell’individuo attraverso la tendenza all’inquietudine.

Per divenire creatività, il talento ha necessità di essere sostenuto dalla passione.

Goleman afferma che:

“L’elemento essenziale nella creatività è, però, la passione.

Il termine psicologico è “motivazione intrinseca”, cioè l’esigenza impellente di fare qualcosa per il semplice piacere di farla e non per ricavarne un premio o un compenso.” (Goleman, Op.cit., p.79)

Ovvero, la spinta interna verso la realizzazione di qualcosa è più determinante, in genere, del talento.

Senza la volontà di impegnarsi per un certo obiettivo, l’attitudine innata a realizzarlo risulta del tutto inutile e sprecata.

Cioè, se una persona ha talento per suonare il violino, ma non ha la volontà di faticare per migliorarsi, né il coraggio di affrontare l’ansia da palcoscenico, difficilmente diventerà un grande concertista.

E’ la passione verso un certo campo a muovere l’energia necessaria al compimento di grandi cose in quell’ambito.

Non a caso il termine “passione”, derivando dal latino “patire” presuppone una sofferenza, un tormento interno, che rende la persona ansiosa, piena di paura, ma anche carica di energia attivante.

Ciak Jones, il creatore di “Willy il coyote” sosteneva:

“La paura, ispirata dal mostro dell’ansia, è la molla necessaria affinché la creatività si manifesti.”

Come si è visto, le forze necessarie alla creatività sono la passione e il talento. Qui per creatività intendiamo la capacità di coping, ovvero di affrontare problemi e risolverli in modo originale.

Nel problem solving efficiente possono essere riconosciute diverse fasi.

In un primo momento è necessario raccogliere quante più informazioni possibili su quel determinato ambito di interesse. E’ il momento in cui si entra nel problema e ci si immerge in esso.

Questa fase sarà creativamente produttiva solo se la persona lascerà la sua mente libera di immaginare ed espandersi senza pregiudizi.

La routine rende rigido e stereotipato il pensiero provocando una fissità funzionale, che impedisce di osservare liberamente tutti gli aspetti della questione.

La fissità funzionale è prodotta anche dall’autocensura, ossia dal giudice interiore che spinge a rimanere nei canoni di ciò che sembra accettabile, ovvio, giusto.

Lo stadio di raccolta dei dati viene spesso disturbato da un momento di frustrazione. E’ la parte più ostica del momento creativo.

Poiché tormentosa da vivere, spesso le persone lasciano perdere proprio nel momento depressivo dell’elaborazione inconscia delle informazioni accumulate.

E’ la fase in cui tutti i tentativi risultano inutili e inefficaci e sembra sparire la possibilità di successo nella soluzione del problema.

La persona creativa impara che il travaglio di questo frustrante momento di disperazione non è improduttivo, né segnala l’impossibilità di raggiungere l’obiettivo.

La costanza, la pazienza e la disponibilità a rimanere in sospensione, a soffrire, sono alleate imprescindibili per superare questo momento , di cui non si può prevedere la durata.

Nello stadio dell’incubazione è l’inconscio a lavorare. D’altronde, la mente razionale è molto meno capace di intuizione creativa.

Nell’inconscio non esiste autocensura e le idee si associano liberamente, utilizzando processi rifiutati dalla consapevolezza.

In più, nell’inconscio risiede il magazzino di tutte le conoscenze, che, in genere, rende giusta la prima impressione, quella basata sull’intuito e non sulla razionalità.

D’altronde, le persone creative accettano il rischio proveniente dalla sperimentazione. Sono disposte a sbagliare, a mettersi in discussione.

Sono, di solito, quelle che sbagliano di più, proprio perché provano di più, non fermandosi di fronte alla paura o all’irragionevolezza o al caos.

Secondo Einstein solo chi ha il coraggio di sbagliare, può inventare qualcosa di nuovo.

I creativi sono persone capaci di zittire il rumore mentale dei pregiudizi, delle emozioni, delle conoscenze precedenti.

Solo nel silenzio mentale ed emotivo può emergere, improvvisa, l’illuminazione, ovvero la soluzione agognata.

Tuttavia, il processo finisce solo quando l’intuizione viene agita e si trasforma concretamente in un prodotto socialmente spendibile, utile, significativo.

Le persone creative, realmente creative, stanno bene quando si dedicano al loro talento, alla loro passione. Non sono soddisfatte nella routine, nella tranquillità.

Per questa ragione stabiliscono delle sfide con se stessi o degli step progressivi da raggiungere.

Le persone creative non si limitano ad essere aperte ad esperienze di ogni tipo, ma sono disposte a correre dei rischi. Uno non può arrivare in cima alla montagna rimanendo a 30 cm da terra.

La creatività non necessariamente declina con l’andare del tempo. Il talento con cui nasciamo rimane sempre lì pronto ad uscir fuori al momento opportuno.

Erik Erikson ha descritto la creatività dell’ultima fase della vita, come una grandiosa produttività, che consiste in un approccio saggio e creativo all’educazione degli altri, un’affermazione della vita di fronte alla morte. Il beneficiario della fecondità creativa dell’anziano è la comunità in senso lato.

Lo spirito creativo, ben lontano dal declinare con l’età, afferma Picasso, probabilmente acquisisce forza e vigore nel momento in cui un uomo o una donna anziani, che affrontano onestamente la prospettiva della morte che incalza, si concentrano su ciò che davvero conta nella vita.

Nel cercare una soluzione creativa, è utile ribaltare il problema e osservarlo da punti di vista diversi. Così è possibile scoprire collegamenti nascosti.

La capacità di vedere le cose in modo nuovo è essenziale nel processo creativo e si fonda sulla disponibilità a mettere in discussione ogni assunto.

Ai fini dell’intuizione creativa, è fondamentale porsi le domande giuste.

Tanto maggiori sono le informazioni che disponiamo sul nostro problema, tanto maggiore è la possibilità di escogitare una soluzione.

Il momento creativo non può essere forzato: arriva spontaneamente, quando le situazioni sono quelle giuste.

Avendo per le mani numerosi progetti, è molto più probabile avere un’intuizione creativa in uno di essi.

Secondo Hovard Lubert , psicologo dell’Università di Ginevra, che ha studiato la metodologia di ricerca di Darwin, muovendosi su più piani di ricerca e su più progetti contemporaneamente, si ha una maggiore probabilità di trasferire intuizioni e informazioni da un campo all’altro, ovvero di ottenere una maggiore efficacia nell’azione.

Quando la creatività è al culmine si può sperimentare quello che gli atleti e gli artisti chiamano “il momento bianco”: tutto funziona al meglio, le abilità sono a tal punto adattate al compito, che l’esecutore sembra fondersi con esso. Tutto è armonioso, coerente e senza sforzo.

Gli psicologi, a volte, si riferiscono al momento bianco chiamandolo “flusso”.

Quando sono nel flusso, le persone funzionano al massimo. Esso può avere luogo in qualunque tipo di attività. L’unico requisito è che le abilità dell’esecutore siano a tal punto perfettamente adattate alle esigenze del momento, da far scomparire ogni esigenza di sé.

Se l’individuo considera le sue potenzialità inferiori all’obiettivo che vuole raggiungere o se le sue capacità sono effettivamente troppo limitate, l’ansia interferisce con il processo creativo.

Nel caso in cui, invece, le caratteristiche della persona sono superiori al compito, è facile che si generi noia e indifferenza.

Quando le capacità dell’esecutore e il compito da eseguire sono reciprocamente all’altezza, è molto probabile che emerga uno stato di flusso.

Un segno del totale assorbimento nel compito è che il tempo sembra passare molto più lentamente o velocemente. Le persone sono totalmente in sintonia con quello che stanno facendo, da dimenticare ogni distrazione.

Secondo Gardner, le persone creative hanno in comune quella che sembra una “freschezza infantile”: hanno la capacità, tipica di un bambino, di comportarsi come liberi esploratori di un campo, qualcuno con tutto il mondo aperto davanti a sé, sia per la capacità di scervellarsi sul genere di cose che, in genere, attrae i bambini. Infatti, prima che altrove, la creatività affonda le sue radici nell’infanzia.

Teresa Amabile ha individuato i fondamentali Killer della creatività:

Sorveglianza, cioè incombere sui bambini , facendo continuamente sentir loro che sono sorvegliati mentre lavorano. In questi casi l’impulso creativo va a nascondersi sotto terra.

Valutazione, significa infondere un’eccessiva preoccupazione del giudizio altrui. I bambini dovrebbero essere principalmente soddisfatti del risultato raggiunto.

Ricompense, significa ricorrere eccessivamente ai premi. L’uso eccessivo delle ricompense priva il bambino del piacere intrinseco della creatività.

Competizione, significa mettere i bambini in una situazione senza uscita, nella quale o si vince o si perde, e nella quale solo una persona può arrivare al vertice.

Eccessivo controllo, significa dire ai bambini esattamente come devono fare i compiti, come devono aiutare in casa e, persino, come devono giocare.

Limitare le scelte, significa dire ai bambini quali attività dovrebbero intraprendere, invece di lasciare che vadano da soli dove li portano la curiosità e la passione. Sarebbe molto meglio lasciare che il bambino scelga ciò che gli interessa e, poi, sostenerlo mentre segue la sua inclinazione.

Pressione, significa creare aspettative grandiose intorno alla prestazione di un bambino.

La motivazione intrinseca, ovvero il talento, è l’elemento chiave per far emergere la creatività nel bambino: il fattore indispensabile affinché il talento possa essere espresso e educato è il tempo.

Il tempo di sperimentazione dei bambini è, e deve essere, illimitato, affinché possano approfondire la sensazione e la capacità legate al talento e farne proprie le dimensioni emozionali ed operative.

Lewin afferma “E’ una cosa terribilmente frustrante essere fermati, quando si è immersi nel processo.. I bambini continuano ad essere bloccati nel bel mezzo delle cose che amano fare. Ogni loro attività viene programmata e loro non hanno la possibilità di rilassarsi o di seguire il proprio ritmo.”

Si deve poter concentrarsi su un’attività, fintanto che essa attrae la nostra attenzione. Quasi in tutte le attività, un adulto ha in mente un prodotto finale e ogni azione che non lo porti direttamente alla realizzazione di quel prodotto gli sembra sprecata e, pertanto, frustrante.

Il bambino, invece, compie il gesto per il piacere e l’eccitazione che in lui il gesto produce. E’ quell’eccitazione il motore della creatività, anche se è disordinata e crea scompiglio nel piccolo e nell’ambiente circostante.

Nel bambino e nell’adolescente a cui è stato consentito di sperimentare e sperimentarsi si radica la convinzione di avere le risorse per affrontare il mondo e per raggiungere i propri obiettivi esistenziali.

Bandura chiama “autoefficacia” la sensazione, la convinzione di poter dominare imprese difficili. Le persone in cui questa convinzione vacilla sensibilmente o timide, hanno poca fiducia in se stesse e nelle loro capacità di avere successo, sono atterrite dal rischio.

Chi ha fiducia nelle proprie capacità va incontro alla novità con una forza che gli viene dall’aver affrontato e dominato già molte sfide. Quella sensazione di fiducia viene, in larga misura, da una storia di successi. Per queste persone l’ignoto , più che una minaccia, rappresenta una sfida.

Jerusalem Scwartez nel 1986(in GIUSTI, TESTI, p 2008, p 65) ha creato un test per l’autovalutazione dell’autoefficacia generale.