Etica ed estetica della comunicazione

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  A cura prof. Emilio Esposito

Abstract :              

Prof. Emilio Esposito Docente di Religione liceo scientifico/ e sezione Carceraria/ Formatore Area delle Professioni Sociali/ Formed – VdS C.R.I. / Consulente per il Terzo Settore (Welfare) /Componente Centro Studi e Osservatorio Permanente sul Disagio Giovanile Comune di Mercato S. Severino.   Servitore Insegnante Scuola Alcologica Territoriale – AICAT/ARCAT/APCAT/ Volontario Ambulatorio Dipendenze ASL Sa distretto 67-/ Responsabile Sportello Sociale C.R.I. (Delegato ASA ( Attività Sociali).Esperto in Biodiscipline e Bioenergetica/Libero Docente UTE/ Università per la Terza Età. Counselor.Esperto in Logoterapia.

 

Oggi più che mai la comunicazione è un tema di forte rilevanza sociale e culturale. I suoi processi infatti incidono profondamente nella nostra vita modificandola radicalmente: tanto che non possiamo più pensare a noi stessi, né interrogarci sul nostro futuro, senza fare riferimento ai mezzi, alle teorie e alle tecniche della comunicazione. Oggi più che mai, quindi, l’agire comunicativo richiede di essere definito, orientato, regolato mediante criteri, principi e valori in base ai quali chi comunica deve compiere le proprie scelte.

Viviamo infatti nell’ “età della tecnica”, nella società dell’informazione. Questo termine, unitamente a quello di rivoluzione mediatica, è diventato emblematico della nostra epoca; è difficile infatti evitare il determinismo di gran parte del pensiero attuale sui “nuovi media” che attribuisce gli effetti sociali a caratteristiche intrinseche della tecnologia. I commentatori vedono nella tecnologia uno dei fattori di cambiamento che essi identificano in tre aspetti fondamentalmente: l’interattività, la natura individualizzata e demassificata e la natura asincrona dei nuovi sistemi di comunicazione. Tutto questo vuol dire che viviamo in un’epoca in cui gli strumenti tecnologici ci facilitano enormemente la vita e ci consentono di comportarci come se fossimo padroni di tutto ciò che ci circonda. Grazie agli sviluppi della tecnica siamo appunto in grado di “abitare” comodamente il mondo, di sentirci ovunque come se fossimo “a casa”.

Tuttavia ciò che chiamiamo “tecnica” si rivela un fenomeno ambiguo in quanto esso attua un potenziamento delle capacità umane ma anche introduce un filtro fra l’uomo e l’ambiente di cui fa parte; consente di intervenire sempre più profondamente ed efficacemente sul mondo ma, moltiplicando i nostri livelli di mediazione del nostro rapporto con esso, ce ne tiene lontani; trasforma la natura in qualcosa di sempre più fruibile e tuttavia la modifica al punto da rischiare di annullarla, fancendola diventare qualcosa di artificiale. Oggi, a differenza di ciò che accadeva nell’antichità, la tecnica non è più considerata un’applicazione della scienza, ma è la scienza a venir sollecitata nel suo sviluppo da ciò che la tecnica richiede. Essa, infatti, per un verso ci fa abitare il mondo in maniera sempre più comoda, per altro verso è in grado di trasformare radicalmente, se non di distruggere, questo mondo stesso. Lo attestano il Novecento e le due guerre mondiali e l’attuale emergenza ecologica. Ma che cosa significa tutto ciò? Vuol dire forse che la tecnica è uno strumento che può essere usato bene o male e che ciò che da essa proviene dipende dalla responsabilità di chi fa uso di un tale strumento?

Nell’ambito delle etiche applicate rientra anche l’etica della comunicazione. Si tratta di una disciplina che, in forma codificata e autonoma, è sorta nella seconda metà del Novecento, sebbene l’attenzione per gli aspetti etici del linguaggio sia antica quanto l’esercizio stesso della filosofia. Non sarebbe sbagliato, ad esempio, considerare alcuni dialoghi di Platone, tra quelli che hanno per protagonista Socrate, come luogo di elaborazione teorica e, insieme, come momento di realizzazione pratica di un’ etica comunicativa, che si sviluppa nello scambio di domande e risposte fra due o più interlocutori.

Nella riflessione contemporanea, l’etica della comunicazione ha trovato importanti e articolati sviluppi specialmente nell’ area culturale anglo-americana, dove forte è l’attenzione per gli aspetti della casistica e per le questioni deontologiche. Un diverso approccio, più marcatamente filosofico, ha caratterizzato invece l’affermarsi di queste tematiche soprattutto in Germania. In ambito francese, poi, le ricerche di etica della comunicazione si sono sviluppate da una prospettiva soprattutto sociologica, o comunque attenta ad analizzare l’incidenza dei processi comunicativi sulla realtà in cui viviamo. Nell’area di lingua spagnola e portoghese, ancora, l’interesse per una regolamentazione di tali processi si è coniugato con una marcata esigenza fondativa. Quanto al dibattito italiano, infine, il ritardo con cui ci si è avvicinati a questioni di etica della comunicazione è stato prontamente recuperato negli ultimi decenni, anche grazie a indagini settoriali di grande interesse, provenienti per lo più dal campo degli studi sulle comunicazioni di massa.

In tutti questi casi tuttavia, a dispetto delle esigenze crescenti che spingono verso tale indagine, l’etica della comunicazione non è stata messa a fuoco in maniera adeguata come disciplina a sé stante, distinta dalle altre etiche applicate e comunque riconducibile a un progetto complessivo di riflessione sulla morale. Ciò è avvenuto o perché, come risulta da molti manuali americani, ci si è limitati a passare in rassegna i differenti criteri di comportamento o era nei singoli  casi studiati,o perché contrario, come nell’ «etica della comunicazione» di Karl-Otto Apel e nell’ «etica del discorso» di Jürgen Habermas, l’interesse per una fondazione filosofica ha prevalso sull’intenzione di fornire una trattazione articolata dei differenti aspetti di questa disciplina. Per questo è necessario chiedersi i motivi dell’ odierno interesse per questa tematica. Perché, in altri termini, sembra oggi indispensabile sottoporre i processi comunicativi ad un vaglio etico? Perché il nostro agire comunicativo richiede che vengano esplicitati i principi di comportamento ai quali esso deve o può notarsi?

Si potrebbe infatti dire: perché i processi e l’agire in questione, nei loro vari aspetti si mostrano di solito refrattari a realtà, a indicazioni o a dettami di tipo morale. Ciò accade specialmente oggi, nel mondo in cui viviamo, dominato dai mezzi di comunicazione di massa e contraddistinto da una vera e propria overdose di comunicazione. Oggi, infatti, una tale disattenzione per regole e principì sembra per lo più dominare l’ambito comunicativo, all’interno di un contesto generale che vede ormai diffusi, a dispetto dei numerosissimi codici di autoregolamentazione, uno scarso rispetto per l’ascoltatore, considerato poco più che un bersaglio da colpire, un’insufficiente attenzione per le esigenze che provengono dalle varie fasce di utenti (tutti subordinati, indistintamente, ai meccanismi della pubblicità) e un vero e proprio abuso dei mezzi d’informazione (spesso utilizzati in un senso strumentalmente ideologico e asserviti a scopi di parte). Emerge dunque, come reazione, un “bisogno” di etica: un bisogno tuttavia che si esprime, per lo più, in considerazioni dal tono apocalittico, oppure in proposte, pur dettate da una lodevole buona volontà, che mirano a stabilire sempre nuove regole e ad individuare doveri sempre più precisi per il comunicatore.

A ben vedere, è proprio l’assenza di una diffusa sensibilità morale ciò che fa nascere l’esigenza di un’ etica della comunicazione. Una tale risposta presuppone in realtà una concezione ben precisa dell’ etica: quella per cui l’etica mira, primariamente, a definire specifici doveri e a stabilire particolari sanzioni per chi li trasgredisce. È questa, appunto, la concezione che sta alla base della deontologia professionale: quell’insieme di regole, norme e principi a cui debbono riferirsi le varie professioni. Ma non è detto, come vedremo, che in una tale concezione sia sufficiente, né che sia l’unica alla quale, nella situazione in cui viviamo, si possa fare riferimento.

Emerge allora, nell’attuale situazione di deregulation comunicativa, non tanto il bisogno di porre limiti e sanzioni, quanto soprattutto la necessità di dare ad essi una legittimazione adeguata. Diviene urgente mostrare in altre parole, non solo il fatto che nei processi di comunicazione è necessario comunque avere alcuni principi di comportamento, ma anche che questi principi debbono risultare universalmente condivisibili:e debbono configurarsi, cioè, come validi in generale. Un tale compito di legittimazione e di giustificazione è appunto quello che bisogna sviluppare.

Anche l’individuazione di tali principi universali, tuttavia, non è sufficiente. Infatti, se è vero che ogni attività comunicativa è regolata da criteri più o meno espliciti di comportamento, è necessario non solo che essi vengano descritti, ma che venga anche chiarito quale di loro debba essere prescelto e per quale motivo. Giacchè in verità molti sono i principi cui implicitamente o esplicitamente viene fatto riferimento nell’esercizio della prassi comunicativa: dal criterio della utilità, dominante nell’esercizio delle comunicazioni di massa, a quello della condivisione prevalente invece all’interno delle relazioni interumane e che mirano al raggiungimento di un’intesa. Né si può ritenere a priori che l’uno o l’altro di tali principi siano da considerarsi letteralmente “immorali”. Lo possono semmai risultare solo a patto di assumere una ben determinata prospettiva etica, di stabilirne la validità. E questo appunto è il compito di un’etica della comunicazione, quello cioè di fondare in termini filosofici ciò che può essere detto “buono” in senso morale e di motivare all’adozione di comportamenti comunicativi che lo promuovono. L’etica della comunicazione è la disciplina che individua, approfondisce e giustifica quelle nozioni morali e quei principi di comportamento che sono all’opera nell’agire comunicativo, e che motiva all’assunzione dei comportamenti da essa stabiliti.

In realtà modi che realizzano una comunicazione come creazione di uno spazio comune sono molteplici e incidono variamente sulla nostra esperienza quotidiana; si pensi ad esempio ai rapporti umani che si realizzano nelle forme dell’interazione comunicativa: il dialogo, lo scambio di domande e risposte, la conversazione. Essi tuttavia non bastano a se stessi perchè sono correlati a forme o approcci comunicativi, l’approccio deontologico, l’approccio dell’etica comunicativo stricto sensu, l’approccio dell’etica nella comunicazione.

L’approccio deontologico

Ci sono infatti vari modi di mettere in comune, di creare uno spazio comune fra gli interlocutori. E ci sono vari modi che consentono di gestire, con l’ausilio del linguaggio, questo stesso spazio. Sono le forme che in precedenza abbiamo già menzio­nato. Tre, in realtà: la deontologia professionale; l’etica della comunicazione intesa in senso proprio; l’etica che è insita negli stessi processi comunicativi (l’etica nella comunicazione). Si tratta di articolazioni di ciò che finora abbiamo chiamato, generica­mente, «etica della comunicazione». Vediamo di approfondirle.

Troviamo in primo luogo l’approccio deontologico: quello che riguarda le varie categorie professionali di comunicatori. Come ho detto, infatti, il termine «deontologia», stando al suo etimo greco, rimanda in generale alla sfera del dovere, a ciò che bisogna o meno fare, nella misura in cui è rescritto da un’i­stanza riconosciuta come normativa. Con l’emergere dell’a­spetto deontologico, in altre parole, si delinea l’esigenza di una regolamentazione dei processi comunicativi. h riconoscere Que­sta esigenza è certamente fondamentale se sì vuole favorire la nascita di un’ etica della comunicazione.

Storicamente la necessità di una tale regolamentazione s’an­nuncia ben presto nell’ ambito delle attività proprie delle diver­se categorie professionali che si occupano di comunicazione: si tratti di giornalisti o di operatori televisivi, di comunicatori pubblici o interculturali. Ciascuno di questi gruppi ha bisogno che vengano stabiliti limiti precisi per 1’attività che essi sono chiamati a compiere. Tali limiti, però, non possono essere imposti dall’ esterno, ma debbono risultare da un’ autoregolamentazione che viene compiuta all’interno degli ambiti professionali coinvolti. Solo così – tanto più in un contesto democratico ­- risultano conciliate, per un verso, la necessità di salvaguardare la libertà dI espressione e, per altro verso, la consapevolezza che non si può dire tutto: facendo in modo, cioè, che quanto si può dire venga individuato proprio da coloro che lo possono o che lo debbono dire.

Bisogna dunque codificare tali limiti. Nascono così i vari co­dici deontologici: nel nostro caso, quelle indicazioni di compor­tamento per gli operatori della comunicazione nelle quali viene stabilito ciò che è lecito e ciò che non è lecito fare nell’ esercizio di tale professione. Di più: nelle quali sono indicate le sanzioni a cui possono andare incontro coloro che le trasgrediscono. Se i codici, pertanto, sono codici di autoregolamentazione che investono le varie categorie professionali – e dunque vi sono, ad esempio, i codici dei giornalisti e il codice dei comunicatori pubblici, ma vi sono anche codici molto più settoriali, relativi a problemi concreti nei quali ci si può imbattere facendo comu­nicazione: come accade nel caso dei vari documenti elaborati in Italia riguardo al rapporto fra TV e minori -, essi risultano vincolanti per tutti coloro che si riconoscono, implicitamente o esplicitamente, in una di queste categorie.

E tuttavia ai problemi di etica della comunicazione né i co­dici né la deontologia professionale sono in grado di dare una soluzione stabile e adeguata. Ciò accade perché, fin troppo spesso, 1’applicazione di questi documenti risulta difficile e far­raginosa, e le sanzioni comminate, posto che lo siano davvero, non costituiscono per lo più un valido deterrente per evitare i comportamenti scorretti. Tali sanzioni, infatti, sono spesso mo­deste, se non inadeguate. Di più. Non solo ci dev’ essere co­munque una motivazione etica forte a seguire e a far rispettare i codici, ma i codici stessi, come dicevo, sono relativi a partico­lari categorie professionali. E all’interno di queste organizzazio­ni di categoria, sovente, controllore e controllato finiscono per coincidere, quanto meno potenzialmente.

Ne risultano limitate sia 1’efficaci; che la portata dei codici deontologici. Ecco perché, in realtà, essi risultano poco cono­sciuti e, spesso, ancor meno osservati. Insomma: 1’approccio deontologico, anche qualora venga accolto e rispettato, risulta circoscritto a coloro che si riconoscono in una particolare cate­goria, o che ne fanno parte in quanto formalmente ammessi.

Più ancora, però, il limite dei codici, a ben vedere, è ine­rente alla loro stessa struttura. Con il riferimento ad essi, infat­ti, si ritiene di poter fornire una risposta, formulata in termini soprattutto giuridici, a questioni che risultano invece di caratte­re etico. L’indicazione della correttezza formale o della legalità di certi atti, però, non s’identifica con la loro giustificazione morale. Le questioni etiche che concernono la libertà e la re­sponsabilità dell’uomo non possono ricevere, cioè, risposte pro­venienti da un ambito diverso. Ecco perchè bisogna elaborare una vera e propria etica della comunicazione, capace d’interes­sare non solo gli addetti ai lavori, ma tutti coloro che sono coinvolti nei processi comunicativi.

Etica della comunicazione per tutti

Ormai lo abbiamo visto: non possiamo non comunicare. Non possiamo non farlo se vogliamo partecipare agli – tendenzialmente a tutti gli altri – quello che pensiamo e siamo. Possia­mo però comunicare bene oppure male. Non solo nel senso dell’ efficacia, della chiarezza, della persuasività di ciò che viene detto, ma anche allo scopo di raggiungere un’intesa: per venire compresi e per comprendere. Si apre così, all’interno del conte­sto comunicativo, un vero e proprio ambito di scelte. E nasce perciò – allo scopo di definire, di fondare, di motivare questo ambito stesso – l’esigenza di un’ etica della comunicazione. .

Non possiamo non comunIcare, non possIamo non sceglie­re. Il “noi” di cui ora sto parlando si rivela in realtà piuttosto vario. Riguarda m primo luogo tutti gli esseri umani che sono inseriti o inseribili nello spazio comune del comunicare. Con­cerne altresì coloro che, in modo specifico, fanno del comunicare il loro interesse prioritario se non addirittura, la loro pro­fessione. Si tratta ad esempio dei giornalisti – dei giornalisti della carta stampata, della radio, della televisione, dei nuovi mezzi multimediali -, dei pubblicitari, dei comunicatori istitu­zionali, dei mediatori interculturali, dei comunicatori politici, di coloro che intervengono, con la loro attività comunicativa, a promuovere relazioni e ad eliminare fraintendimenti in ambiti pubblici o privati (come ad esempio la sanità, la scuola, la sfera delle attività culturali, la variegata dimensione delle imprese, e via dicendo). Bisogna dunque approfondire i modi differenti in cui l’impegno etico si può presentare, da un lato, nell’agire comunicativo quotidiano, dall’ altro, nell’ attività di coloro che fan­no della comunicazione il loro mestiere. In altre parole bisogna mettere in luce le indicazioni morali con cui si confrontano, per un verso, gli operatori della comunicazione e, per altro verso, ogni potenziale interlocutore.

È quello che faremo in questo capitolo. Ma lo faremo con un’impostazione ben precisa. Vi è infatti un altro aspetto, al­trettanto decisivo, che dobbiamo tenere presente. Esso riguarda due modi, due atteggiamenti che chiunque fa comunicazione può assumere nei confronti del contesto comunicativo in cui è inserito.

Possiamo infatti interrogarci sui comportamenti da adottare di fronte alle varie forme di comunicazione che vediamo all’ o­pera nella nostra vita quotidiana; possiamo invece approfondire gli atteggiamenti che è bene di volta in volta assumere all’ inter­no di ciascun ambito comunicativo. Nel primo caso ci confron­tiamo, per quanto ciò è possibile, con il complesso di una situa­zione che ci coinvolge, certamente, ma che possiamo anche prendere in esame come se ne potessimo fuoriuscire: ci ponia­mo, per dir così, da una prospettiva “esterna”. Nel secondo ci comportiamo piuttosto come esseri pienamente inseriti nei pro­cessi comunicativi: esseri, dunque, che sono in grado di ricerca­re quei principì e quelle regole che consentono di operare, in varie forme, nel mondo della comunicazione.

Abbiamo dunque la possibilità di considerare i nostri com­portamenti secondo due aspetti: mettendoci alla ricerca di un’etica che viene elaborata rispetto alla sfera della comunica­zione, oppure tentando d’identificare regole e criteri atti a orientarci nell’ambito della comunicazione stessa. Più in detta­glio possiamo discutere l’esigenza etica che sorge, da un lato, nei confronti dei linguaggi giornalistici, sia della carta stampata, sia in ambito radiotelevisivo sia ancora di più in campo multimediale, e dall’altro, entro queste stesse dimensioni comuni­cative. E mentre la seconda prospettiva interessa soprattutto­ coloro che operano nell’ ambito dei media, la prima riguarda tutti quelli che si rapportano, in maniera professionale o no, all’ agire comunicativo.

Estetica della comunicazione

Nel 1989 Gianni Vattimo, in La società trasparente, avanzava l’ipotesi che «!’intensificarsi dei fenomeni comunicativi, l’accentuarsi della circolazione delle informazioni fino alla contemporaneità della telecronaca diretta, non sia solo un aspetto fra gli altri della modemizzazione, ma sia in qualche modo il centro e il senso storico di questo processo». Peccato che Vattimo non si sia ricordato che, proprio per aver altri fatto la sua stessa ipotesi, era stata fondata, nel 1983, quella teoria e quella pratica dell’estetica della comunicazione di cui ora parleremo.

L’estetica della comunicazione attribuisce un valore assoluto agli aspetti formali e funzionali dei sistemi di comunicazione e li attiva per realizzare degli eventi estetici puri.

‘La vita dell’immaginario è sempre intimamente legata allo stato e alle possibilità della tecnica, e l’immaginario contemporaneo, immesso in un ambiente saturo di tecnologie, va subendo una mutazione senza precedenti.

Il «sistema dell’arte» è ormai del tutto incapace a cogliere e di esprimere questa nuova era della sensibilità e dell’estetico, la sua unica modernità consiste nella dimostrazione che esso offre della assoluta superiorità del medium sui contenuti: l’arte è attualmente soltanto un sistema di comunicazione e di scambio economico nel quale le opere gridano a viva voce la loro estraneità e la loro indifferenza rispetto alla ricerca estetica e la loro appartenenza esclusiva all’ambito delle merci.

Ma l’arte è soltanto un «sistema planetario» mentre la ricerca estetica è una «galassia in espansione»: la attuale microcircolazione di malafede, irresponsabilità, affari internazionali e ladri di galline, non potrà ancora a lungo occultare la nuova sensibilità generalizzata che richiede manifestazioni estetiche a essa adeguate e corrispondenti. Il «sistema dell’arte» è chiamato a un radicale rinnovamento della sua organizzazione e della sua essenza.

L’ésprit du temps possiede alcuni caratteri fondamentali non più disconoscibili:

– le società di produzione vanno lasciando rapidamente il passo alle società di comunicazione; si tratta ormai sempre di più di spostare informazioni e memorie di eventi, non cose: l’energia è la protagonista della fase attuale dell’evoluzione;

– l’esteriorizzazione tecnologica generalizzata delle funzioni del sistema nervoso e la conseguente attuale complementari età di mente e macchina, se sembra minacciare la specie umana di atrofie irreparabili e progressive, le apre anche la possibilità di una mutazione straordinaria nelle qualità e nelle funzioni della sensibilità e dello spirito.

Per estetica della comunicazione si intende pertanto la consapevolezza teorica di una nuova epoca della sensibilità e dell’estetico legata alle attuali tecnologie elettro-elettroniche della comunicazione, unitamente alla volontà militante di promuoverne e sollecitarne e riconoscerne le manifestazioni in tutto il pianeta. Si può tentare quindi di cogliere e suggerire i princìpi fondamentali cui la nuova estetica si ispira (la superiorità dei circuiti sui contenuti dello scambio, la immaterialità delle realizzazioni, il loro carattere di eventi, la tematizzazione dello spazio-tempo, il nuovo statuto teorico della presenza, il superamento delle differenze tra arte e tecno-scienza, la sublimità tecnologica, l’attivazione di campi di energia vitale/artificiale).

Tematizzare ora la «comunicazione estetica planetaria» significa voler fare esplicita questione delle nuove dimensioni della presenza e delle relative implicazioni neuro-socio-estetiche.

La comunicazione a distanza si realizza in tre modi fondamentali:

trasmissione di una memoria registrata, e dunque riattualizzazione a distanza, in tempo reale, di un passato artificialmente conservato;

simultaneità a distanza, e dunque collegamento in diretta tra luogo dell’evento e uno o più luoghi nei quali lo stesso evento si fa tecnologicamente presente nel registro del visivo/acustico (un evento che si verifica in un luogo determinato viene trasmesso altrove, in mille altri luoghi, in contemporanea);

estensione dell'”evento» nello spazio: qui l’evento non è semplicemente trasmesso dal luogo del suo verificarsi ad altri luoghi, ma si espande nello spazio e si costituisce di ciò che accade in vari luoghi contemporaneamente; evento è, in questo caso, tutto quello che accade simultaneamente in una molteplicità di luoghi che diventano un sol «luogo» grazie alla messa in relazione tecnologica; questo tipo di evento può poi implicare: a) l’attivazione del solo campo percettivo (percezioni visive, acustiche, di spazio-tempo); oppure b) provocare una più corposa presenza di movimento (campo aperto delle utilizzazioni della robotica a distanza).

Le scienze umane hanno, a mio avviso, un bisogno vitale di adottare un atteggiamento di vigile attenzione nei confronti di tutto quanto avviene nei territori della sperimentazione estetica.

Le «avanguardie storiche» hanno di fatto fornito, nei primi decenni del Novecento, un complesso straordinario di indicazioni (pensiero divergente, utilizzazione della casualità, tecniche della creatività, comunicazione visiva, linguaggi non verbali, nuova situazione della scrittura) che solo molti anni dopo, la psicologia e la pedagogia hanno problematizzato e accolto nel loro corpo disciplinare.

Si tratta di capire che col trapassare dell’arte nell‘avanguardia artistica, delle trasformazioni profonde si verificano nell’essenza e nelle funzioni dell’arte.

Con l’avanguardia l’arte rompe ogni rapporto con l’«assoluto», con la «verità», con la «bellezza», con la «trascendenza», e si pone interamente sotto il segno dell’antropologia.

Il lavoro delle avanguardie consiste essenzialmente nell’approntare una serie di risposte alla nuova situazione dell’invasione tecnologica.

Dalla fotografia alle immagini numeriche e alle reti telematiche la tecno-scienza ha sconvolto dalle fondamenta la vita dell’immaginario, le forme della cultura e i modi dell’ esistenza umana. L’avanguardia risponde a tutto questo: essa da un lato indaga nella logica oggettiva dei nuovi mezzi e lascia trasparire le forme dell’immaginario che questa porta con sé, d’altro lato prefigura più in generale dei modelli di adattamento sensoriali, epistemici ed esistenziali meglio adeguati e funzionali alle mutate condizioni antropologiche.

Con l’avanguardia insomma, e meglio sarebbe dire con l’arte sperimentale, l’arte nega la sua antica essenza e si trasforma in un luogo di sperimentazione antropologica dove vengono approntati dei modelli di comportamento preventivi e di prospettiva, meglio adeguati alle condizioni esistenziali emergenti.

        Risulta a questo punto meglio giustificata la sollecitazione da me introdotta in apertura: le scienze  umane non possono non essere particolarmente attente a quello straordinario laboratorio di ricerca antropologica che va sotto il nome di sperimentazione estetica poiché è in esso che il nostro destino si annuncia e si disvela, ed è da esso che vanno raccolte le suggestioni e le indicazioni per l’avvenire.

Si tratta allora di fare attenzione a quanto sta attualmente accadendo nei territori della sperimentazione estetica, e si badi che questa è tutt’altra cosa rispetto alla produzione artistica attuale.

È abbastanza diffusa, nei settori del sistema e del mercato dell’arte, l’opinione di un esaurimento odierno dell’avanguardia, opinione che si accompagna a una ripresa dell’idea della «bellezza» e che tende alla giustificazione della produzione di oggetti «artistici» tradizionali facilmente commerciabili. È certo che questi prodotti nulla hanno a che vedere con la sperimentazione estetica essendo essi, di fatto, niente altro che brani e frammenti di linguaggi già parlati e già esauriti.

Questo non significa però che la sperimentazione estetica ha compiuto la sua storia, significa soltanto che essa si va svolgendo ormai in un altrove collocato al di là dei luoghi dell’arte, portata avanti non più da quelle patetiche figure del passato ma da un numero crescente di ricercatori estetici che in ogni parte del mondo, quasi sempre in posizione eccentrica rispetto al sistema dell’arte ma in stretta connessione con i luoghi reali dell’investigazione contemporanea (istituti di ricerca, centri nazionali della ricerca scientifica, dipartimenti universitari, fondazioni, centri di ricerca industriale, reti televisive), tentano di definire le configurazioni psico-sensoriali derivanti dalle nuove tecnologie, e di individuare le nuove possibilità estetiche a esse connesse.

Il discorso sull’ estetica della comunicazione comincia a questo punto. Nella nostra «epoca del dominio della tecnica» (Heidegger) assistiamo a numerosi e straordinari eventi tecnologici; tra questi consideriamo quelli più vicini ai territori dell’estetico e più capaci di influire su di essi: da un lato tecnologie capaci di produrre nuove specie di immagini (videografie, computergrafie), di suoni (suoni sintetici, olofonie), di forme spaziali (ologrammi). D’altra parte nuove tecnologie della comunicazione (video-lento, telefax, tecnologie satellitarie, video-telefono, reti) che valgono come una offerta inedita di estensione del corpo e del sistema nervoso a livello planetario (Teilhard de Chardin e McLuhan). La sperimentazione estetica e la riflessione estetologica a essa connessa devono muoversi in una duplice direzione: da un lato l’esplorazione dell’universo delle forme neo-tecnologiches, dall’altro ricerca, definizione e attivazione delle valenze estetiche possedute dai nuovi dispositivi tecnologici di contatto a distanza.

L’estetica della comunicazione che, più estesamente, dovrebbe essere indicata come estetica delle tecnologie della comunicazione funzionanti come dispositivi di contatto, sviluppa questo secondo punto e si presenta come una teoria generale capace di dar conto delle più disparate forme di quella intenzionalità estetica che adopera come supporto le neo-tecnologie comunicazionali.

Da numerose realizzazioni esemplari relative all’estetica della comunicazione è possibile individuare e formalizzare i seguenti princìpi di base:

  1. L’estetica della comunicazione è un’estetica di eventi. L’evento è ciò che si sottrae alla «forma» e si presenta come flusso spazio-temporale o processo interattivo e vivente.
  2. L’evento dell’estetica della comunicazione si realizza tramite un dispositivo tecnologico di contatto a distanza capace di mettere in relazione spazi diversi nello stesso tempo. Questo modifica profondamente la nozione di evento che non si realizza più in un hic et nunc, ma si espande senza limiti nello spazio-tempo.
  3. L’evento dell’estetica della comunicazione consiste innanzi tutto nella attivazione di un circuito; ciò che interessa non è tanto il contenuto che viene scambiato ma la rete e le condizioni formali e funzionali dello scambio; ogni evento è anche un esercizio di meta-comunicazione.
  4. L’evento dell’estetica della comunicazione si svolge sempre in tempo-reale; ogni altra dimensione temporale, come la memoria registrata o accumulata in banche dati, si risolve in un presente primario che è la durata reale dell’evento.
  5. L’evento dell’estetica della comunicazione non è tanto una mobilitazione di concetti quanto una mobilitazione di energia; l’immaterialità dell’energia e le tensioni di campo si sostituiscono all’«oggetto estetico» e alla «forma». L’energia di cui si parla consiste in una indistinguibile combinazione di energia vitale (mentale, muscolare, affettiva, organica, ecc.) e di energia artificiale (l’elettricità, l’elettronica, l’energia macchinica, ecc.).
  6. L’evento dell’ estetica della comunicazione risulta sempre da due nozioni temporali interagenti: il presente e la simultaneità. I due vissuti temporali vengono messi in «corto circuito» dalla mediazione tecnologica che li unifica e li dissolve provocando l’irruzione di un vissuto fluido e pre-sistematico del tempo.
  7. L’evento dell’ estetica della comunicazione impiega lo spazio-tempo come supporto per la creazione di nuovi equilibri sensoriali.
  8. L’evento dell’estetica della comunicazione dischiude e attiva una nuova fenomenologia della presenza (reale, differita, a distanza). La presenza dell’ estetica della comunicazione, puramente qualitativa e fondata sull’estensione tecnologica planetaria del sistema nervoso, è come la praesentia definitiva della filosofia scolastica per la quale una cosa è tutta nella totalità dello spazio che occupa e tutta anche in ciascuna parte di questa totalità.
  9. Il sentimento estetico generato dagli eventi dell’estetica della comunicazione non è quello del bello ma quello del sublime, che non nasce dall’«oggetto» né dalla «forma» ma da una disposizione dello spirito che trova in «ciò che è assolutamente grande» (Kant) un angoscioso sgomento assieme a un’ammirata contemplazione. Nell’ estetica della comunicazione il «ciò che è assolutamente grande» è la possibilità assoluta della tecnica, la minaccia di una espropriazione radicale dell’umano che essa rappresenta. Ma l’estetica della comunicazione trasforma la terribilità in serena contemplazione, restituisce alla tecnica una sottile spiritualità intellettuale e carica i suoi eventi di un sentimento del sublime infinitamente più penetrante di quello del bello che nasce dalle «forme» e dagli «oggetti estetici».

lO. Nel «sistema dell’arte» il sublime, sottraendosi a ogni forma di domesticazione, non è mai stato adeguatamente considerato. L’estetica della comunicazione offre, per la prima volta, alle Istituzioni della cultura le possibilità legate alla produzione e al consumo della sublimità.

Se ora, ricollegandoci al nostro discorso iniziale, tentiamo da tutto questo di ricavare delle indicazioni antropologiche dobbiamo riconoscere quanto segue:

– Gli artisti della comunicazione predispongono a un tipo di esperienza caratterizzata dal dominio del!’immateriale e dell’energia pura e, da questo punto di vista, essi possono essere considerati come il punto d’arrivo di tutto il lavoro «concettuale» delle avanguardie, che a questo evidentemente tendeva.

– Gli artisti della comunicazione sembrano indicare il superamento della contrapposizione uomo/tecnologia, in vista di una sorta di sereno legame simbiotico nel quale i due elementi risultino interdipendenti e indistinguibili.

– Gli artisti della comunicazione alludono a una profonda trasformazione dello spazio-tempo; si può anzi affermare che il tempo costituisce il supporto fondamentale delle loro operazioni e che con loro la forma del tempo, in sé stessa considerata, per la prima volta è fatta oggetto di investigazione estetica. Nello spazio-tempo cui allude l’estetica della comunicazione le dimensioni del tempo sembrano risolversi tutte quante nel presente e quelle dello spazio allargarsi fino alla perdita del luogo; il nuovo spazio-tempo si fa così un presente universale o un non luogo del presente.

– Nell’ estetica della comunicazione si allude a una profonda trasformazione della memoria; la differenza bergsoniana tra materia e memoria viene del tutto annullata; la memoria non è più il fondamento dell’interiorità (la «durata reale») mentre assume sempre di più le forme di esistenza della materia: pubblica, esteriore, immutabile nella ripetizione, e questa stessa, a sua volta, cessa così di essere veramente «materiale». Questa nuova unità simbiotica di materia e memoria è anche capace di annullare ogni assolutezza dell’interno e dell’ esterno.

– L’estetica della comunicazione allude a una profonda trasformazione del soggetto: questo non si costituisce più nell’auto riferimento e nella delimitazione rigida dei rapporti io/non-io; nell’estetica della comunicazione il soggetto perde il suo «involucro» e si fa campo di transito di correnti di energia.

– Negli artisti della comunicazione c’è, vivissimo, il sentimento di una nuova unità della specie umana che la riporta a un’identità antropologica collocata al di là delle storie specifiche. Nella configurazione della vita umana che è in via di svolgimento e di definizione, l’aspetto socio-politico costituisce un livello di superficie al di là del quale si tratta di cogliere ed esprimere la nuova situazione antropologica della specie, nella sua totalità.

– L’estetica della comunicazione indica l’abolizione della distanza tra tecno-scienza e arte; essa tende a ricavare dalla scienza e dalla tecnica delle esperienze di tipo estetico, ciò che vale a un tempo come un’estensione della sensibilità e delle sue possibilità di vissuti estetici, e come il tentativo estremo di spiritualizzazione della tecnica che perde così ogni minacciosa terribilità.

– Dal punto di vista dei «contenuti», gli artisti della comunicazione alludono a una cultura della ibridazione composta da elementi eterogenei di significato.

Questi dunque i lucidi e attraenti presentimenti antropologici dell’ estetica della comunicazione e degli artisti che in essa si riconoscono. Essi suggeriscono, in fondo, una verità che comincia a esser chiara per tutti: la specie umana è attualmente chiamata a una profonda trasformazione dei suoi modi di essere nel mondo. L’estetica della comunicazione ci istruisce sui tempi che sono a venire e ci prepara a essi.

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