BURNOUT E MOBBING

 

 

 

 

07-burnout-15-63858325539-mobbing-word-cloud-conceptEmilio

 

Ricerca a cura di Emilio Esposito – Docente – Formatore A.I.F. ( Area delle Professioni Sociali)

Counselor Sistemico Relazionale Esperto in Biodiscipline e Logoterapia

I disagi delle persone hanno a che fare non solo con la storia individuale, ma anche con la storia collettiva delle persone.

I profondi disagi e le tracce di dolore che possono provare coloro i quali operano nelle organizzazioni si confrontano con l’ispessirsi di condizioni di incertezza, con chiamate verso esperienze relazionali intense, nutrite dall’insofferenza, delusione, logoramento, all’equivoco e all’incomprensione.

Giunte alla soglia di criticità tali relazioni conducono il gruppo ad un possibile punto di rottura: il burn out individuale degli operatori e il mobbing nelle relazioni.

Il Burn out

Il termine Burn-out, che nella forma italiana può essere semplicemente tradotto come “bruciato”, ha fatto la sua prima apparizione nel gergo del mondo dello sport nel lontano 1930 per indicare l’incapacità di un atleta, dopo ripetuti successi, ad ottenere ulteriori risultati positivi e/o a mantenere quelli acquisiti. Si tratta dunque di una particolare forma di reazione allo stress lavorativo tipica delle professioni di aiuto nelle quali non si utilizzano solo competenze tecniche, ma anche abilità sociali e energie psichiche per soddisfare i bisogni dell’utenza.

La sindrome di burnout può essere vista come una risposta individuale ad una situazione lavorativa percepita come stressante e nella quale l’individuo non dispone di risorse e di strategie comportamentali e cognitive adeguate a fronteggiarla.

Da qui si sperimentano risposte ciniche e disumanizzate: la spersonalizzazione, l’esaurimento emotivo e la riduzione delle capacità personali.

Esaurimento emotivo. Si caratterizza per la mancanza dell’energia necessaria per affrontare la realtà quotidiana e per la prevalenza di sentimenti di apatia e di distacco emotivo nei confronti del lavoro. Il soggetto si sente svuotato, sfinito, le sue risorse emozionali sono esaurite.

Depersonalizzazione. È un atteggiamento caratterizzato da distacco e ostilità, dal tentativo di sottrarsi al coinvolgimento, limitando la qualità e la quantità degli interventi professionali, al punto di rispondere evasivamente alle richieste degli utenti, di sottovalutarle o negarle.

Ridotta realizzazione professionale. Si riferisce ad un sentimento di fallimento professionale dovuto alla percezione della propria inadeguatezza al lavoro, alla consapevolezza dell’intolleranza e del disinteresse verso le esigenze degli altri e ai conseguenti sentimenti di colpa per la perdita di efficacia e di competenza nella relazione con l’utente.

Il soggetto colpito da burn-out manifesta una serie di sintomi che si possono distinguere in:

Sintomi aspecifici (irrequietezza, senso di stanchezza, esaurimento, apatia, nervosismo e insonnia),

sintomi somatici (ulcere, cefalee, aumento o calo ponderale, nausea, disturbi cardiovascolari, difficoltà sessuali)

Sintomi psicologici (depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia, risentimento, irritabilità, aggressività, alta resistenza ad andare al lavoro, indifferenza, negativismo, isolamento, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, difficoltà nelle relazioni con l’utenza, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti dell’utenza e dei colleghi di lavoro). Tale situazione di disagio molto spesso induce il soggetto ad abuso di alcool, di psicofarmaci o fumo.

L’insorgenza della sindrome segue generalmente quattro fasi:

La prima fase (entusiasmo idealistico) è caratterizzata dalle motivazioni che hanno indotto gli operatori a scegliere un lavoro di tipo assistenziale; tali motivazioni sono spesso accompagnate da aspettative di “onnipotenza”, di soluzioni semplici, di successo generalizzato e immediato. C’è in tutto questo quasi una difficoltà a leggere in modo adeguato il dato di “realtà”: infatti esiste una logica secondo la quale il venire a capo di una situazione difficile non dipende dalla natura della situazione, ma essenzialmente dalle proprie capacità e dai propri sforzi; se dunque il problema non viene risolto, significa che non si è stati all’altezza….

 

Nella seconda fase (stagnazione) l’operatore continua a lavorare ma si accorge che il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni. Si passa in questo modo da un superinvestimento iniziale ad un graduale disimpegno dove il sentimento di profonda delusione determina una chiusura verso l’ambiente di lavoro ed i colleghi.

La terza fase (frustrazione) è la più critica del burn-out. Il pensiero dominante dell’operatore è di non essere più in grado di aiutare nessuno, con profonda sensazione di inutilità e di non rispondenza del servizio ai reali bisogni dell’utenza. Il soggetto può assumere atteggiamenti aggressivi e spesso mette in atto comportamenti di fuga come allontanarsi senza giustificazione dal reparto, fare pause prolungate o frequenti assenze per malattia.

 

Nella quarta fase si assiste al graduale passaggio da empatia ad apatia; durante questa fase si ha una vera e propria morte professionale.

Questo progressivo susseguirsi di fasi da un livello molto alto di motivazione ad un livello di demotivazione è riconducibile ad una visione del lavoro fortemente influenzata da una ideologia di tipo assistenziale, per la quale le figure sono ancora considerate come professionisti di un tipo di lavoro inadeguatamente retribuito e di beneficenza; “l’utente non è un cliente, ma un postulante cui viene fatta l’elemosina di una prestazione d’aiuto” (G.Contessa, 1995).

LE CAUSE

Individuarne le cause è piuttosto difficile poiché si tratta di un fenomeno multidimensionale, influenzato da fattori, sia di tipo oggettivo sia soggettivo interagiscono quindi, fattori socio-ambientali, lavorativi e caratteristiche individuali e personologiche.

Tra i fattori socio-ambientale e lavorativi:

  • il ruolo nell’organizzazione (ambiguità di ruolo e conflitto di ruolo);
  • lo sviluppo di carriera (delusione delle aspettative, conflitto interpersonale per competitività);
  • le relazioni di lavoro (stili di leadership, relazioni informali);
  • la struttura e il clima organizzativo (mancanza di senso di appartenenza e di commitment).
  • la scarsa o inadeguata retribuzione

 

I fattori individuali e personologici riguardano:

  • variabili anagrafiche (soprattutto l’età, con una incidenza decrescente all’aumentare degli anni);
  • tratti di personalità (bassa autostima, impulsività, rabbia, introversione, eccessivo bisogno di approvazione, uso di meccanismi difensivi inadeguati);
  • aspetti motivazionali (significati attribuiti al lavoro, aspettative eccessive o irrealistiche, scelte sottese da motivazioni non autentiche, bisogni fra loro conflittuali).

E’ però possibile contenere l’insorgere o le conseguenze del burn-out con:

  • L’informazione, che mira a far conoscere questo fenomeno e ad offrire utili consigli per prevenirlo;
  • La formazione, attraverso esperienze di gruppo o discussione di casi con l’obiettivo di creare strumenti per far fronte al fenomeno;
  • Interventi specifici: attraverso la strutturazione, in base alle esigenze organizzative, di programmi anti stress studiati sulla mansione lavorativa e soprattutto attraverso l’equilibrio del carico lavorativo con una corretta pianificazione del lavoro.
  • Occasioni di confronto con colleghi, apertura al dialogo motivazionale mediante processi dinamico-interattivi.
  • Solo il gruppo può stimolare a svolgere un’azione o a perseguire un cambiamento. (Il mondo dei colleghi).
  • La possibilità di entrare in contatto relazionale profondo con interlocutori capaci di comprendere il peso della propria sofferenza per riorganizzare e dare maggior struttura alla propria personalità. (Il mondo degli affetti).
  • Il ricorso a vecchi amici e il ricordo dei precedenti sogni, ideali, cognizioni e simboli che consentano di mettere in contatto diversi punti di vista e diverse culture professionali. (il mondo degli amici).

 

   MOBBING

Il termine Mobbing deriva da quello inglese “to mob”, “attaccare”, “accerchiare”.

Termine coniato per indicare un meccanismo di difesa collettivo che si attua nel mondo animale e mediante il quale un branco mantiene la sua omogeneità espellendo “il non simile” attraverso comportamenti di isolamento e lesivi.

Si deve a Leymann la sua introduzione nel settore lavorativo a partire dagli anni ’80 (Leymann & Gustavsson, 1984; Leymann, 1990, 1993, 1996, 1997).

Secondo tale autore “il mobbing, o terrore psicologico sul posto di lavoro, consiste in una  comunicazione ostile e non etica diretta in modo sistematico da uno o più individui solitamente verso un singolo individuo, il quale a causa di ciò, si trova in una posizione indifesa e impossibilitato a ricevere aiuto, essendo costretto in quella posizione da continue azioni  mobbizzanti”.

Tali azioni si verificano con un’alta frequenza di base (definizione statistica: almeno una volta a settimana) e perdurano a lungo nel tempo (definizione statistica: almeno sei mesi). L’alta frequenza e la durata dei comportamenti ostili è causa di gravi problemi psicologici, psicosomatici e sociali” (Leymann, 1996, pag. 168).

Si possono individuare tre tipi di mobbing

Mobbing verticale Nel mobbing verticale il datore di lavoro o il superiore gerarchico abusa della propria posizione nei confronti dei lavoratori subordinati a lui sottoposti.

Mobbing orizzontale Nel mobbing orizzontale i comportamenti violenti nei confronti di una persona provengono dai propri colleghi.

Bossing Il bossing è una terza forma di mobbing, meno diffusa delle precedenti ma comunque da prendere in considerazione. Nel bossing i lavoratori sottoposti, di grado inferiore, si coalizzano per recare danni o violenza psicologica al proprio superiore gerarchico (es. manager, capo-ufficio ecc).

 

Fasi del mobbing

Condizione zero : normale conflittualità (endemica) nelle aziende italiane dove tutti sono contro tutti . Non c’è fase penalizzante particolare verso qualcuno ma competizione elevatissima volta a primeggiare. E’ considerata pre-mobbing

Prima fase o conflitto mirato si individua la vittima e verso di essa si dirige la conflittualità generale. Obiettivo non è più emergere ma distruggere un “avversario”. Il conflitto non è limitato al lavoro ma inizia ad interessare anche argomenti privati

Seconda fase o mobbing iniziale: gli attacchi dei mobbers suscitano disagio e fastidio .Inasprimento sensibile delle reazioni con colleghi e dubbi sulle motivazioni di tale situazione.Avvertiti primi mutamenti del clima lavorativo

Terza fase – sintomi psicosomatici Iniziano i priomi problemi di salute con senso di insicurezza, insonnia , problemi digestivi e stanchezza

Quarta fase : errori ed abusi delle amministrazioni – il caso di mobbing diventa pubblico e viene

aggravato da fraintendimenti, controlli e penalizzazioni dell’amministrazione

Quinta fase : serio aggravamento della salute della vittima per comparsa di forme depressive e per uso continuo di farmaci con effetto solo palliativo

Sesta fase : esclusione dal mondo del lavoro per dimissioni volontarie, ricorso al licenziamento, prepensionamento o in qualche caso per ricorso al suicidio, per sviluppo di forme ossessive , spesso ricorso a pensioni di invalidità nei casi più gravi o all’Autorità Giudiziaria

il processo distruttivo vive nelle relazioni del gruppo mediante alleanze e coalizioni spesso non verbalizzate, ma esplicite nel clima organizzativo, tra le condotte di mobbing:

  • Condotte che impediscono alle vittime di esprimersi,
  • Condotte che tendono a isolare la vittima innescando autenticit selettiva;
  • Condotte che tendono a provocare la disistima presso i colleghi e distruggere la sua reputazione (pettegolezzi, offese, derisioni)
  • Demansionamento in modo formale o solo di fatto;
  • Emarginazione e isolamento della vittima nell’ambito lavorativo;
  • Addebito di contestazioni infondate con sanzioni disciplinari pretestuose;
  • Lesione dell’immagine e/o della reputazione presso colleghi e superiori;
  • Discriminazioni riguardanti la carriera, le ferie, l’aggiornamento, il carico e la qualità del lavoro;
  • Assegnazione di obblighi dequalificanti o umilianti;
  • Imposizione di turni gravosi;
  • Abuso di controlli medico fiscali in caso di malattia;
  • Utilizzo in modo esasperato ed esasperante il potere di controllo e l’azione disciplinare;
  • Molestie o violenze sessuali;
  • Provocazioni al fine di indurre il soggetto a reazioni incontrollate;
  • Negazione dei diritti contrattuali

Il mobbing porta la vittima a perdere gradualmente la sua influenza, il rispetto degli altri verso di se, il suo potere decisionale, spesso la salute, la fiducia in se stesso, gli amici, l’entusiasmo nel lavoro, la sua dignità, se stesso. Gli effetti del Mobbing sulla salute si manifestano dopo un tempo variabile, con sintomi sia di natura fisica o psicosomatica, sia di natura psichica come:

 

  • disturbi d’ansia tra cui attacchi di panico, ansia libera, fobie;
  • disturbi dell’umore che spaziano da reazioni aggressive esagerate con marcata irritabilità a manifestazioni depressive;
  • disturbi dell’attenzione e della concentrazione con riduzione della memoria;
  • disturbi del pensiero con fissazione sul proprio problema lavorativo, ossessività ideativa;
  • disturbi della sfera del sonno con risvegli multipli durante la notte, insonnia, alterazioni del ritmo
  • sonno-veglia;
  • modificazioni dell’alimentazione con anoressia e bulimia;
  • modificazioni del comportamento relazionale con il partner, la famiglia, sul lavoro e in società, nelle persone predisposte si verificano o si accentuano problemi legati all’abuso di alcol, droghe e farmaci;
  • alterazioni della personalità con quadri di depersonalizzazione fino alla configurazione di atti estremi come il suicidio ed eventuali tentati omicidi per vendetta sui mobber.

 

La persistenza dei disturbi psicofisici porta ad assenze dal lavoro sempre più prolungate, con “sindrome da rientro al lavoro” sempre più accentuata, fino alle dimissioni o al licenziamento.

La perdita dell’autostima e del ruolo sociale comporta insicurezza, difficoltà relazionali e, per le fasce d’età più avanzate, l’impossibilità di nuovi inserimenti lavorativi.

Il soggetto porta all’interno dell’ambito familiare il proprio stato di grave disagio, e non sono rari i casi di separazioni e divorzi, disturbi nello sviluppo psicofisico dei figli e disturbi nelle relazioni sociali.

Le cause che possono portare a determinare l’instaurarsi di questo fenomeno sono riconducibili a comportamenti individuali e a dimensioni organizzative. Gli antecedenti possono essere identificati nei tratti di personalità del mobber o del mobbizzato.

Mobber: personalità con disturbo narcisistico o disturbo paranoie di personalità

Mobbizzato: persona rigida ansiosa, con bassa stima di sé, tendente alla paranoia e alla depressione con elevati livelli di sensibilità.

 

È fondamentale attuare una distinzione tra mobbing e conflitto.

Mobbing quando la  comunicazione tra i soggetti del conflitto è indiretta, distorta, subdola e la vittima è messa in condizione di impossibilità di difendersi in modo adeguato, differentemente dal conflitto in cui la relazione è esplicita nelle regole.

Conflitto in ambiente di lavoro:

la grave e perdurdistorsione delle relazioni

 

 

 

MOBBING

 

 

0BCONFLITTO

 

Oggetto del contrasto

 

 

La relazione

 

Un fatto

 

Modalità

 

 

Manipolativa oltre le regole

 

 

Esplicita nelle regole

 

Finalità

 

 

Eliminare o soggiogare l’altro

 

 

Ottenere qualcosa

 

Danno per conflitto

 

 

Disturbo post traumatico da stress

 

 

Frustrazione

 

Alle malattie relazionali dell’organizzazione si colloca il termine EMPOWERMENT che rimanda ad una strategia di miglioramento del clima relazionale. Empowering (to give them power – dare potere agli altri) è quindi apertura relazionale agli altri mediante rispetto e reciproca fiducia.

Rispetto e fiducia vengono articolate mediante la costruzione di azioni comunicative di responsabilizzazione, incoraggiamento, informazione, coinvolgimento emotivo, tranquillizzazione, sostegno e gratificazione i cui valori si implementano negli stili relazionali suscitatori di affinità per dialogicità, complementarità, incontro, disponibilità, integrazione, mediazione e riconoscimento.

L’aspetto principale per un intervento sul burnout e sul mobbing è  il rapporto tra:

gruppo palese (personalità collettiva): formata dall’insieme delle relazioni tra operatori, e gruppo latente la dimensione delle singole personalità degli operatori.

Mediante il concetto di personalità collettiva ci si propone di leggere le caratteristiche  relazionali di ciascun raggruppamento sociale (gruppo palese) in funzione della sua identità collettiva, mettendo in rapporto le relazioni con le persone individuali con i membri (gruppo latente).