A cura del prof. Emilio Esposito/
Teologo /Formatore Area delle Professioni Sociali/
Counselor sistemico relazionale familiare..
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La comunicazione può essere definita come uno strumento per mezzo del quale possiamo comunicare con il mondo esterno; questa è presente fin dalla nostra nascita e diventerà più complessa e efficace durante tutta l’età evolutiva.
Nell’ambito della professioni sanitarie essa gioca un ruolo fondamentale nel fornire delle risposte ai bisogni di salute sia del singolo che della comunità. Infatti il contatto con l’utente e la sua famiglia assume di volta in volta carattere di accoglienza, contenimento, continuità affettiva ecc. dove il vissuto e l’avvenire della persona assistita devono necessariamente tenere conto delle dinamiche familiari, amicali nonché ambientali per ripristinare equilibrio e armonia.
E’ indispensabile quindi avere competenze avanzate che permettano di fornire risposte adeguate alle esigenze di salute.
La capacità di comunicazione
Può essere interrotta da qualsiasi disturbo psichico e di conseguenza la relazione con gli altri e soprattutto con se stessi essere disturbata.. Spesso durante la relazione ci accorgiamo che le parole assumono un significato secondario rispetto alla comunicazione non verbale e alla metacomunicazione, infatti ciò che secondo me arriva prima sono i sentimenti e le emozioni che noi riusciamo a percepire e a trasmettere.
Il primo sentimento che dobbiamo trasmettere all’utente è la fiducia, di essere dei professionisti che si prendono cura di lui in un momento così fragile della sua esistenza.
Infatti parlare del proprio sé presuppone che colui che abbiamo di fronte sia capace di ascoltare, che rispetti i tempi, che in qualche modo faccia capire che comprenda e che non giudichi.” Quando l’operatore riesce a guardare ,anche per un attimo, in fondo a quegli occhi e a percepire quella sofferenza ,a questo punto capisce quali sono i suoi compiti e il motivo per cui si trova proprio lì. Sono queste le caratteristiche essenziali per un professionista, che favoriscono una relazione d’aiuto con delle buone basi.
L’operatore durante la relazione con l’utente deve autoosservarsi non assumere atteggiamenti di chiusura ma neanche comportamenti amicali consapevole della funzione che sta esercitando, mantenere una giusta distanza prossiemica poiché una stretta vicinanza potrebbe essere interpretata come un elemento di disturbo o addirittura di intrusione (nel disturbo schizofrenico). L’operatore socio sanitario deve saper gestire il colloquio fermandosi quando i livelli di ansia o la stanchezza dell’utente sono elevati.
Di fondamentale importanza sono i colloqui con la famiglia che hanno come obiettivi centrali il sostegno, l’educazione alla malattia mentale, la gestione della alta emotività espressa.
Il momento più delicato è quello della diagnosi
Perché l’equilibrio famigliare viene alterato, i congiunti vivono il dolore allo stesso modo dell’utente, la non conoscenza della patologia allontana la sicurezza e la tranquillità di accettare e affrontare la malattia. È da questo momento che l’equipe deve sostenere prima e educare poi la famiglia che potrà diventare una risorsa insostituibile nel percorso di cura dell’utente con disturbo psichico.
Pensiamo ai genitori ai quali viene comunicato che il figlio ha un grave distrurbo schizofrenico: possono sentirsi in colpa, possono manifestare rabbia o la negazione della malattia oppure freddezza che nasconde la rassegnazione e la disperazione. Accogliere e capire questi sentimenti è di vitale importanza per iniziare una collaborazione per l’attivarsi di un percorso assistenziale che riabiliti l’utente, percorso che continui anche a casa.