GLI ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE

 

 

A cura di Emilio Esposito - Teologo-  Docente / Formatore  Area delle Professioni Social/ Counselor / Esperto nei processi formativi  per il Terzo setttore/ Naturopata / Maestro Shiatsu

GLI ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE

Il termine comunicazione racchiude in sé molti significati, basti pensare al fatto che le parole enunciate in ogni tipo di discorso contengono almeno due livelli: un primo livello di contenuto in cui si trasmettono all’interlocutore contenuti, notizie, informazioni, dati reali; e un secondo livello di relazione in cui ci si interroga sulle dinamiche relazionali tra le persone.
 Rendere la comunicazione efficace e convincente è senza dubbio lo strumento privilegiato per far funzionare ogni gruppo di lavoro.
 Le organizzazioni, tuttavia, sono fatte di persone, le persone le costruiscono, le fanno crescere, le avviano allo sviluppo, facendole progredire con le loro motivazioni e con la loro “voglia di fare”.

Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, (1971), Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio.

I CINQUE ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE
Nel processo di comunicazione esistono, secondo Watzlawick, filosofo ed esperto della Pragmatica della comunicazione, cinque principi chiave che aiutano a decodificarne la dinamica:

1° principio:
NON SI PUÒ NON COMUNICARE
Il primo principio afferma che la comunicazione è comportamento per cui tutto il comportamento è comunicazione. Se si vuole comprendere ciò che gli altri dicono è necessario prestare attenzione non solo a quello che viene espresso verbalmente, ma anche alla globalità dei loro comportamenti.
Nelle situazioni di gruppo, tutti i comportamenti che le persone esprimono con i gesti e non con le parole, sono dei messaggi chiari e delle comunicazioni ben precise; ad esempio, chi parla di fronte ad una platea, noterà i cenni di assenso o di dissenso degli astanti, la distrazione, le interruzioni continue o il rifiuto di ascoltare; tutti atteggiamenti, questi, che provocheranno un certo stato d’animo nel parlante; anzi, per lui, sarà quasi automatico incontrare gli sguardi più attenti, o le persone che danno cenni di assenso con il volto e con il capo.
Viceversa, arrivare in anticipo a lavoro, andare via per ultimi o non voler mai andar via, lavorare intensamente, non permettere di lasciarsi interrompere, etc., sono tutte comunicazioni che ciascuno trasmette talvolta consapevolmente, tal altra senza neppure saperlo o accorgersene.

Per comunicare bene in un gruppo e aver un feedback positivo è, dunque, necessario prestare attenzione a tutto ciò che viene espresso sia a livello di contenuto verbale, sia a livello comportamentale, oltre che mantenere un certo grado di congruenza tra i due livelli.

E’ evidente che, sono messaggi non trascurabili anche le azioni in apparenza secondarie rispetto all’obiettivo specifico del lavoro, anzi spesso sono proprio questi messaggi involontari che, se percepiti dagli altri come di disturbo, possono favorire un processo di comunicazione definito “comunicazione distorta”.
Alcuni esempi illustrano la situazione: rispondere al telefono o addirittura interrompere per telefonare mentre si sta parlando ai collaboratori durante un colloquio o durante una riunione; assentarsi ripetutamente e distrarsi, sono chiari segnali di uno “pseudo-ascolto”, oltre che atteggiamenti molto significativi ed eloquenti che non passano “inosservati”, ma esprimono molto più dei contenuti verbali e creano un clima di predisposizione particolare agli astanti.

Inoltre, quando si è di fronte a più persone, occorre ricordarsi che un dialogo specifico e particolare tra il responsabile e un singolo collaboratore rappresenta un messaggio significativo anche per tutti gli altri componenti del gruppo. Ad esempio, se un responsabile rimprovera o elogia un suo collaboratore di fronte agli altri, oltre a commettere un errore “gestionale” notevole, ciò che dice verrà percepito e decodificato anche dagli altri, i quali verranno, di conseguenza, condizionati positivamente o negativamente, nei riguardi di quella persona.

«L’uomo che guarda fisso davanti a sé mentre fa colazione in una tavola calda affollata, o il passeggero d’aereo che siede con gli occhi chiusi, stanno entrambi comunicando che non vogliono parlare con nessuno, né vogliono che si rivolga loro la parola e i vicini, di solito, afferrano il messaggio e rispondono in modo adeguato. Questo è proprio uno scambio di comunicazione nella stessa misura in cui lo è una discussione animata» (Watzlawick, 1971, p. 42). Anche le assurdità, il silenzio, il ritrarsi, l’immobilità (il silenzio posturale) o ogni altra forma di diniego sono essi stessi comunicazione.

 

2° principio:

OGNI COMUNICAZIONE HA UN ASPETTO DI CONTENUTO E UNO DI RELAZIONE.
Questo principio afferma che nel processo di comunicazione non si trasmettono solo delle informazioni o dei contenuti, ma vengono definiti anche i rapporti di posizione reciproca, cioè il tipo di relazione che esiste tra i membri del gruppo di lavoro; tale discorso richiama i concetti di “posto”, “status” e “ruolo”.
Le comunicazioni che passano tra gli individui all’interno del gruppo, possono essere comprese meglio se si considerano come finalizzate, non tanto e non solo a trasmettere dei contenuti, quanto a definire, recuperare o affermare la propria “identità” o la propria posizione all’interno del gruppo stesso.
Inoltre, i messaggi, possono essere percepiti o distorti in base al tipo di relazione che vi è con il “leader” o con il “capo”; ad esempio: se un collaboratore ha difficoltà ad accettare la posizione di autorità del “responsabile”, è probabile che tenda ad inviare messaggi, apparentemente riferiti ai temi di lavoro concreto, ma in pratica, orientati a rifiutare o a mettere in discussione la posizione di superiorità gerarchica del “capo”.

Altro esempio: se il “capo” o il “leader” ha come scopo quello di mantenere, conservare o rafforzare la propria posizione di superiorità gerarchica e decisionale nei confronti dei collaboratori, è probabile che, nel trasmettere un messaggio al gruppo, cerchi, in modo esplicito o implicito, di rafforzare la propria immagine ed il proprio ruolo, piuttosto che farsi capire; in tal caso la comunicazione non sarà utile per trasmettere informazioni e contenuti, ma per affermare il proprio “potere” sugli altri.
Quindi, questo principio implica che la ricezione del messaggio del “capo” da parte dei collaboratori può essere distorta dal tipo di relazione (buona o cattiva) che esiste tra i membri del gruppo.

Le informazioni trasmesse dalla comunicazione ed il relativo comportamento, possono essere considerate come due operazioni presenti in tutte le comunicazioni:
– L’aspetto di notizia
– L’aspetto di comando
«Il primo trasmette i dati della comunicazione; il secondo il modo con cui si deve assumere tale comunicazione: “Questo è un ordine!” oppure “Sto solo scherzando”, sono esempi verbali di comunicazioni sulla comunicazione, ma si può esprimere la relazione anche in modo non verbale (gridando, sorridendo, ecc.).

Il contesto in cui ha luogo la comunicazione servirà a chiarire ulteriormente la relazione: ad es., possiamo capire meglio le frasi sopracitate se sappiamo che sono state pronunciate tra soldati in uniforme o nell’arena di un circo.
Inoltre, l’aspetto di comando, si riferisce al tipo di messaggio che deve essere assunto e perciò, in definitiva, alla relazione tra i comunicanti. Tutte queste forme di relazione riguardano una o parecchie delle seguenti asserzioni: “Ecco come mi vedo…. Ecco come ti vedo… ecco come ti vedo che mi vedi…”» (Watzlawick, 1971, p. 45-46).

3° principio:

OGNI COMUNICAZIONE È COMPOSTA DA UN MODULO NUMERICO E DA UN MODULO ANALOGICO.

«La comunicazione numerica è quella più propriamente verbale, ma non costituisce che la minima parte del processo di comunicazione. Tuttavia, ha un’importanza particolare perché serve a scambiare informazioni sugli oggetti e anche perché ha la funzione di trasmettere la conoscenza di epoca in epoca» (Watzlawick, 1971, p. 55).
La comunicazione analogica, invece, è ogni comunicazione non verbale ed include le posizioni del corpo, i gesti, l’espressione del viso, le inflessioni della voce, la sequenza il ritmo e la cadenza delle stesse parole ed ogni altra espressione non verbale di cui l’organismo sia capace, come pure i segni di comunicazione immancabilmente presenti in ogni contesto in cui ha luogo un’interazione. Questa comunicazione rappresenta la parte più cospicua, rilevante ed immediata del processo comunicativo.

E’ fondamentale essere consapevoli del fatto che esistono due livelli di comunicazione poiché, nel momento in cui comunichiamo, è necessario tenerli congruenti e coerenti tra loro, per evitare di mettere in confusione gli altri o di mandare messaggi contraddittori.
Se io affermo “non sono arrabbiato”, ma in quel momento ho le guance vistosamente arrossate e batto i pugni sul tavolo, è difficile che venga creduto per quanto comunico a voce, piuttosto sarà decodificato il mio atteggiamento che esprime esattamente il contrario.

I segnali non verbali nell’interazione possono essere mimici, spaziali, gestuali, posturali e visivi ed, in una situazione di gruppo, tutti questi aspetti sono rilevanti. Per esempio la gestualità serve a sottolineare ciò che si dice.
Infine, l’aspetto di contenuto ha più probabilità di essere trasmesso con un modulo numerico, mentre il modulo analogico avrà una netta predominanza nella trasmissione dell’aspetto di relazione.

«Quando un uomo e una donna decidono di legalizzare la loro unione con una cerimonia matrimoniale, si pongono un problema che continuerà a presentarsi per tutta la durata del matrimonio: ora che sono sposati stanno insieme perché lo vogliono o perché lo debbono?

Diventa problematico definire in un modo che non sia ambiguo il rapporto della coppia quando si aggiunge una numerizzazione (il contratto matrimoniale) all’aspetto prevalentemente analogico della relazione (il corteggiamento)» (Watzlawick, 1971, p. 59).

Altro Esempio: «il marito, mentre era solo in casa, aveva ricevuto una telefonata interurbana da un amico che gli aveva detto che doveva venire da quelle parti per qualche giorno. Il marito si era subito offerto di ospitarlo, sapendo che anche sua moglie sarebbe stata lieta di averlo come ospite e che, se si fosse trovata a rispondere al telefono, gli avrebbe fatto lo stesso invito.
Ma quando la moglie era tornata a casa avevano litigato aspramente per questa offerta di ospitalità che il marito aveva fatto.

Il problema fu esaminato: sia il marito che la moglie erano d’accordo nell’ammettere che invitare l’amico era la cosa più giusta e naturale da farsi. La loro perplessità sorgeva quando dovevano prendere atto che da un lato erano d’accordo ma poi, chissà perché, non erano d’accordo su quello che sembrava essere lo stesso punto.

In verità i punti in questione erano due. Uno riguardava come agire adeguatamente in una data situazione pratica (l’invito) e su questo punto era possibile comunicare con il modulo numerico; l’altro riguardava la relazione tra i comunicanti (chi aveva il diritto di prendere l’iniziativa senza consultare l’altro) e questo era il punto che non era facile risolvere con il modulo numerico perché presupponeva che il marito e la moglie fossero in grado di parlare sulla loro relazione.
Nei loro tentativi di mettersi d’accordo commettevano un errore di comunicazione molto comune: non erano d’accordo a livello di metacomunicazione (relazione), ma cercavano di mettersi d’accordo a livello di contenuto dove in realtà erano d’accordo. La loro pseudomancanza di accordo era dunque il prodotto di quell’errore» (Watzlawick,1971, p. 72).

4° principio:

L’INTERPRETAZIONE DEL MESSAGGIO DIPENDE DALLA PUNTEGGIATURA.
Nel processo di comunicazione è possibile il verificarsi di un “corto circuito”, la tendenza, cioè, di attribuire all’interlocutore l’impossibilità di comprendere i contenuti di quanto si dice. Poiché questo atteggiamento può essere reciproco, tutti gli interlocutori attribuiscono agli altri l’insuccesso della comunicazione. Questo principio, implica che è necessario comunicare in modo chiaro e che, in caso di conflitto tra colleghi, è fondamentale individuare la vera causa per discuterne insieme in maniera costruttiva, allo scopo di evitare incomprensioni o distorsioni e atteggiamenti non collaborativi, che inciderebbero negativamente sia sul clima, che sul lavoro di gruppo.
Il topo dice: “Ho addestrato il mio sperimentatore.

Ogni volta che premo la leva mi dà da mangiare. In una lunga catena di scambio, gli organismi coinvolti, in effetti, punteggeranno la sequenza in modo che sembrerà che l’uno o l’altro abbia iniziativa ascendente, o che si trovi in posizione di dipendenza. «Si stabiliscono, così, tra i modelli di scambio e quelli contenuti nella realtà, regole contingenti che concernano lo scambio di rinforzo.
La punteggiatura serve ad organizzare sequenze interattive comuni ed importanti. Per esempio, diamo il nome di “leader” ad una persona che si comporta in un certo modo in un gruppo e chiamiamo “seguace” un’altra persona.

Un disaccordo su come punteggiare la sequenza di eventi si trova alla radice di innumerevoli conflitti: Supponiamo una coppia che abbia un problema coniugale di cui ciascun coniuge è responsabile del 50%: lui chiudendosi passivamente in se stesso e lei brontolando e criticando.
Quando spiegano le loro frustrazioni, l’uomo dichiara che chiudendosi in se stesso è la sua unica difesa contro il brontolare della moglie, mentre lei etichetta questa spiegazione come una distorsione grossolana e volontaria di quanto “realmente” accade nel loro matrimonio: lei critica il marito a causa della sua passività. “Io mi chiudo in me stesso perché tu brontoli” e “Io brontolo perché tu ti chiudi in te stesso”. E’ difficile convincersi come due individui possano avere opinioni così divergenti su tanti elementi di una esperienza comune». (Watzlawick, 1971, p. 49).

5° principio:
LE COMUNICAZIONI SONO SIMMETRICHE E COMPLEMENTARI, A SECONDA
CHE SONO BASATE SULL’UGUAGLIANZA O SULLA DIFFERENZA.
Per comprendere meglio questo principio, facciamo subito un esempio: pensiamo ad una riunione in cui alcuni membri del gruppo si pongano in rapporto con il capo con un atteggiamento di dipendenza ed accettazione passiva, o viceversa, con un atteggiamento regolarmente competitivo e conflittuale. Ciò influisce sul modo di ascoltare e recepire il messaggio. In una situazione di lavoro con più collaboratori è necessaria la relazione di “simmetria” o di “complementarietà”, non solo con un singolo collaboratore, ma con tutto il gruppo. «I modelli simmetrico e complementare, possono anche essere descritti come relazioni basate o sull’uguaglianza o sulla differenza: nel primo caso i modelli tendono a rispecchiare il comportamento dell’altro; nel secondo caso il comportamento di un individuo completa quello dell’altro. In altre parole, nella relazione complementare si hanno due diverse posizioni: un individuo assume la posizione superiore, primaria, one-up; mentre l’altro tiene la posizione inferiore, secondaria, one-down». (Watzlawick, 1971, p.62).